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PREMINENTE PER L'AVVOCATO IL DOMICILIO "DIGITALE"

12 LUGLIO 2017


Secondo la Corte di cassazione (Sez. III, sentenza n. 17048 del 20.12.2016-11.07.2017) la disposizione di cui all’art. 82, comma 2, del R.D. n. 37/1934, n. 37 secondo la quale i procuratori che esercitano il proprio ufficio in un giudizio che si svolge fuori della circoscrizione del Tribunale al quale sono assegnati, devono, all’atto della costituzione nel giudizio stesso, eleggere domicilio nel luogo dove ha sede l’autorità giudiziaria presso la quale il giudizio è in corso, in mancanza della quale il domicilio si intende eletto presso la cancelleria della stessa autorità giudiziaria, deve essere oggi raccordata con la disciplina del c.d. "domicilio telematico" e delle notificazioni a mezzo di posta elettronica certificata.
La disamina parte dalla pronuncia delle Sezioni unite le quali hanno osservato che, partire dalla data di entrata in vigore delle modifiche degli artt. 125 e 366 cpc, apportate dall’art. 25 della legge n. 183/2011, esigenze di coerenza sistematica e d’interpretazione costituzionalmente orientata inducono a ritenere che, nel mutato contesto normativo, la domiciliazione ex lege presso la cancelleria dell’autorità giudiziaria innanzi alla quale è in corso il giudizio, ai sensi dell’art. 82 citato, consegue soltanto ove il difensore, non adempiendo all’obbligo prescritto dall’art. 125 cpc per gli atti di parte e dall’art. 366 cpc specificamente per il giudizio di cassazione, non abbia indicato l’indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine (Sezioni Unite, Sentenza n. 10143/2012).
Successive pronunce hanno ridimensionato il rilievo della "elezione" (in senso improprio) del domicilio telematico; è stato affermato, infatti, che, mentre l’indicazione della PEC senza ulteriori specificazioni è idonea a far scattare l’obbligo del notificante di utilizzare la notificazione telematica, non altrettanto può affermarsi nell’ipotesi in cui l’indirizzo di posta elettronica sia stato indicato in ricorso per le sole comunicazioni di cancelleria (così ad esempio Cass. n. 25215/2014). Orientamento quest’ultimo in base al quale non vi sarebbe onere di notificare la sentenza a mezzo di PEC quando il difensore della parte abbia indicato il proprio indirizzo PEC solamente ai fini delle comunicazioni di cancelleria.
Questo orientamento traeva spunto dal tenore dell’art. 125, primo comma, cpc, come modificato dall’art. 2, comma 35-ter del D.L. 138/2011, convertito con modificazioni dalla l. n. 148/2011 (c.d. Decreto sviluppo) secondo cui, negli atti di parte, "il difensore deve, altresì, indicare il proprio indirizzo di posta elettronica certificata e il proprio numero di fax", mentre in epoca pressoché coeva, la l. n. 183/2011 (Legge di stabilità 2012) aveva modificato anche l’art. 366 cpc in tema di giudizio di cassazione, prevedendo che il ricorrente debba eleggere domicilio in Roma ovvero indicare in ricorso l’indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine; in mancanza, le notificazioni gli sono fatte presso la cancelleria della Corte di cassazione.
Dopo le suddette pronunce la disciplina delle notificazioni telematiche è stata tuttavia ulteriormente modificata. L’art. 125 cpc è stato nuovamente rimaneggiato, ad opera dell’art. 45-bis, comma 1, del D.L. n. 90/2014, convertito con modificazioni dalla l. n. 114/2014 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari), con la soppressione dell’obbligo di indicare negli atti di parte l’indirizzo PEC del difensore.
Lo stesso D.L. n. 90/2014, convertito con modificazioni dalla l. n. 114/2014, ha aggiunto al D.L. n. 179/2012, convertito con modificazioni dalla l. n. 221/2012 (c.d. Agenda digitale), l’art. 16-sexies, intitolato "Domicilio digitale"; tale disposizione prevede che, "salvo quanto previsto dall’articolo 366 del codice di procedura civile, quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, alla notificazione con le predette modalità può procedersi esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l’indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dagli elenchi di cui all’articolo 6-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, nonché dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della giustizia".
L’art. 6-bis del D.Lgs. n. 82/2005 (Codice dell’amministrazione digitale) prevede l’istituzione, presso il Ministero per lo sviluppo economico, di un pubblico elenco denominato Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC) delle imprese e dei professionisti. L’indirizzo di posta elettronica certificata è "agganciato" in maniera univoca al codice fiscale del titolare.
In conclusione, oggi l’unico indirizzo di posta elettronica certificata rilevante ai fini processuali è quello che il difensore ha indicato, una volta per tutte, al Consiglio dell’ordine di appartenenza.
In tal modo, prosegue la Cassazione, l’art. 125 cpc è stato allineato alla normativa generale in materia di domicilio digitale e “il difensore non ha più l’obbligo di indicare negli atti di parte l’indirizzo di posta elettronica certificata, né la facoltà di indicare uno diverso da quello comunicato al Consiglio dell’ordine o di restringerne l’operatività alle sole comunicazioni di cancelleria. Il difensore deve indicare, piuttosto, il proprio codice fiscale; ciò vale come criterio di univoca individuazione dell’utente SICID e consente, tramite il registro pubblico UNI-PEC, di risalire all’indirizzo di posta elettronica certificata”.
Resta invece fermo il contenuto dell’art. 366, comma secondo, cpc che, solo per il giudizio di cassazione, prevede la domiciliazione ex lege del difensore presso la cancelleria della Corte nel caso in cui non abbia eletto domicilio nel comune di Roma, né abbia indicato il proprio indirizzo di posta elettronica.
Pertanto “oggi ciascun avvocato è munito di un proprio domicilio digitale, conoscibile da parte dei terzi attraverso la consultazione dell’Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC) e corrispondente all’indirizzo PEC che l’avvocato ha indicato al Consiglio dell’ordine di appartenenza e da questi è stato comunicato al Ministero della giustizia per l’inserimento nel registro generale degli indirizzi elettronici. Tale disciplina implica un considerevole ridimensionamento dell’ambito applicativo dell’art. 82 r.d. n. 37 del 1934. Infatti, come si è visto, la domiciliazione ex lege presso la cancelleria è oggi prevista solamente nelle ipotesi in cui le comunicazioni o le notificazioni della cancelleria o delle parti private non possano farsi presso il domicilio telematico per causa imputabile al destinatario. Nelle restanti ipotesi, ovverosia quando l’indirizzo PEC è disponibile, è fatto espresso divieto di procedere a notificazioni o comunicazioni presso la cancelleria, a prescindere dall’elezione o meno di un domicilio "fisico" nel comune in cui ha sede l’ufficio giudiziario innanzi al quale pende la causa”.
Secondo la Corte residua un ristretto margine di applicazione dell’art. 82 del R.D. n. 37/1934  del 1934: si tratta del caso in cui l’uso della PEC è impossibile per causa non imputabile al destinatario. In tale ipotesi, le comunicazioni della cancelleria e le notificazioni degli atti vanno effettuate nelle forme ordinarie, ai sensi degli artt. 136 ss. cpc: solamente in tale eventualità assume rilievo ai fini del citato art. 82 l’omessa elezione del domicilio "fisico" nel comune in cui ha sede l’ufficio giudiziario.
In conclusione, secondo la Cassazione, a seguito dell’introduzione del "domicilio digitale" previsto dall’art. 16-sexies del D.L. n. 179/2012, n. 179, così come modificato dal D.L. n. 90/2014, convertito con modificazioni dalla l. n. 114/2014, non è più possibile procedere - ai sensi dell’art. 82 del Regio Decreto 22 gennaio 1934, n. 37 - alle comunicazioni o alle notificazioni presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario innanzi a cui pende la lite, anche se il destinatario ha omesso di eleggere il domicilio nel comune in cui ha sede l’ufficio giudiziario innanzi al quale pende la causa, a meno che, oltre a tale omissione, non ricorra altresì la circostanza che l’indirizzo di posta elettronica certificata non sia accessibile per cause imputabili al destinatario.
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