Normativa previgente
A differenza della prescrizione prevista dal codice penale, che è causa di estinzione del reato, nell’ordinamento professionale la prescrizione non estingue la violazione deontologica, ma l’azione disciplinare. Ai sensi dell’art. 51 RD n. 1578/1933, già in vigore prima della nuova legge professionale, l’azione disciplinare si prescrive in cinque anni, con decorrenza (salva l’ipotesi dell’eventuale sospensione) dalla data di realizzazione dell’illecito o dalla cessazione della sua permanenza.
La prescrizione dell’azione disciplinare è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, anche in sede di legittimità, stante la natura pubblicistica della materia ed è interrotta dal promovimento dell’azione disciplinare e quindi dall’atto di apertura del procedimento, dalla formulazione del capo di incolpazione, dal decreto di citazione a giudizio per il dibattimento, dalla sospensione cautelare, che costituisce una fase del procedimento disciplinare e quindi una modalità di esercizio dell’azione e comunque da tutti gli atti procedimentali di natura propulsiva (esempio: atti di impugnazione), o probatoria (esempio: interrogatorio dell’avvocato sottoposto al procedimento), o decisoria.
Ininfluenti, quali potenziali eventi interruttivi della prescrizione dell’azione disciplinare, le anteriori attività istruttorie informali, in quanto non univocamente espressive della potestà punitiva già affidata ai Consigli degli Ordini degli avvocati ed ora spettante ai Consigli Distrettuali di Disciplina.
Per l’interruzione del termine quinquennale di prescrizione dell’azione disciplinare, nell'anteriore procedimento davanti ai COA, trovava applicazione l’art. 2945, comma 1, cc, secondo il quale per effetto e dal momento dell’interruzione inizia un nuovo periodo di prescrizione, che è pertanto interrotta con effetto istantaneo.
Nel caso in cui il procedimento disciplinare avesse avuto luogo per fatti costituenti anche reato e per i quali fosse stata iniziata l’azione penale, il termine quinquennale di prescrizione rimaneva sospeso e quindi non decorreva fino alla definizione del processo penale e cioè fino a quando la sentenza penale era divenuta irrevocabile, restando irrilevante il periodo decorso dalla commissione del fatto all’instaurazione del procedimento penale anche se il COA venuto a conoscenza del fatto, avesse avviato il procedimento disciplinare per poi sospenderlo per l’avvenuto inizio dell’azione penale, e ciò a prescindere dall’effettiva sussistenza di un provvedimento di sospensione (necessaria, ex art. 295 cpc) del procedimento disciplinare.
Normativa prevista dalla nuova legge professionale - legge n. 247/2012
Dispone ora l’art. 56 della legge 247/2012 che: “1. L’azione disciplinare si prescrive nel termine di sei anni dal fatto. 2. Nel caso di condanna penale per reato non colposo, la prescrizione per la riapertura del giudizio disciplinare, ai sensi dell’articolo 55, è di due anni dal passaggio in giudicato della sentenza penale di condanna. 3. Il termine della prescrizione è interrotto con la comunicazione all’iscritto della notizia dell’illecito. Il termine è interrotto anche dalla notifica della decisione del consiglio distrettuale di disciplina e della sentenza pronunciata dal CNF su ricorso. Da ogni interruzione decorre un nuovo termine della durata di cinque anni. Se gli atti interruttivi sono più di uno, la prescrizione decorre dall’ultimo di essi, ma in nessun caso il termine stabilito nel comma 1 può essere prolungato di oltre un quarto. Non si computa il tempo delle eventuali sospensioni.”
Il termine complessivo di prescrizione dell’illecito disciplinare (in precedenza 5 + 5) è quindi ora indicato nella misura massima di sette anni e mezzo dal fatto di rilevanza deontologica.
Di rilievo la previsione secondo la quale nel termine di prescrizione non si calcola il tempo delle eventuali sospensioni; sospensioni che, a norma dell’art. 54, comma 2 della stessa legge 247/2012, sono previste espressamente (solo) per l’ipotesi che nel corso del procedimento disciplinare si riveli indispensabile, ai fini della decisione, acquisire atti e notizie appartenenti al procedimento penale.
Applicabilità della nuova normativa in tema di prescrizione dell'azione disciplinare ai procedimenti isciplinari pendenti
Pare ovvio che, in concreto, la nuova prescrizione sia più favorevole: fatto salvo il caso della riapertura del procedimento disciplinare che comunque, una volta riaperto, dovrà chiudersi in due anni (art. 56, comma 2), l'esercizio del potere disciplinare deve avvenire entro sette anni e mezzo (sei anni + ¼).
Con il sistema previgente, la prescrizione, pur quinquennale, una volta interrotta, iniziava nuovamente a decorrere secondo un meccanismo civilistico così da consentire la celebrazione di procedimenti disciplinari anche a distanza di molti anni dal fatto contestato.
Si è quindi posto il problema dell’applicabilità della nuova normativa - da parte dei Consigli Distrettuali di Disciplina Forense ai quali è ora attribuito il potere disciplinare che spettava in precedenza ai COA - ai procedimenti pendenti, stante anche il principio del favor rei richiamato dall’ultima parte dell’art. 65, comma 5, della legge 247/2012, a norma del quale le norme contenute nel (nuovo) codice deontologico (in vigore dal 15.12.2014) si applicano anche ai procedimenti disciplinari in corso al momento della sua entrata in vigore, se più favorevoli per l’incolpato.
Sul punto si sono le espresse le SS.UU. della Corte di Cassazione [sentenza n. 1822 del 6.12.2014/ 02.02.2015; ordinanza n. 16068 del 14.07.2014; sentenza n. 1025 del 20.05.2014] statuendo, fino ad ora, la non applicabilità della nuova normativa ai procedimenti in corso.
Secondo queste decisioni “in materia di sanzioni disciplinari a carico degli avvocati, la L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 65, comma 5, nel prevedere, con riferimento alla nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense, che le norme contenute nel nuovo codice deontologico si applicano anche ai procedimenti disciplinari in corso al momento della sua entrata in vigore, se più favorevoli per l'incolpato, riguarda esclusivamente la successione nel tempo delle norme del previgente e del nuovo codice deontologico. Ne consegue che per l'istituto della prescrizione, la cui fonte è legale e non deontologica, resta operante il criterio generale dell'irretroattività delle norme in tema di sanzioni amministrative, sicché è inapplicabile lo jus superveniens introdotto con la L. n. 247 cit., art. 56, comma 3. Il precetto della disposizione di cui all’art. 65, comma 5, unicamente dedicato al nuovo codice deontologico, lungi dall’investire l’intero impianto dell’ordinamento professionale disciplinare, si rivela unicamente improntato a regolare esclusivamente la successione nel tempo delle norme del previgente e di quelle dell’(allora) emanando nuovo codice deontologico, sicché per tutti gli ulteriori profili dell’ordinamento disciplinare che non trovano la relativa fonte regolamentare nel codice deontologico (e, quindi, per la prescrizione, che è regolata da disposizione di legge) resta operante il criterio generale della irretroattività delle norme in tema di sanzioni amministrative (v. Cass. n. 29411/11; n. 15314/10; n. 28159/08; n. 27172/06)”.