L’art. 507 cpp, per come viene applicato quotidianamente, consentendo all'organo giudicante un'intrusione sul terreno della prova, rischia di contaminare il modello accusatorio, che impone il principio secondo il quale iudex iudicare debet secundum probata partium.
L’unica lettura che rende l’art. 507 cpp compatibile con il principio costituzionale del giusto processo di cui all’art. 111 della Costituzione è quella per cui al Giudice, previa, del caso, sollecitazione delle parti, va riconosciuto un semplice potere di integrazione del dato acquisito qualora ciò risulti necessitato da quanto accertato nel contraddittorio, e sempre che non si tratti di temi di prova di cui la parte pubblica o quella privata avevano conoscenza ed hanno omesso di allegare. Solo in un tal caso, difatti, l'attività integrativa del giudice nell'acquisizione del dato probatorio risulta assolutamente necessaria, in quanto il particolare strumento di prova fosse non conosciuto dalle parti e sia emerso solo a seguito dell'instaurato contraddittorio.
Con recente sentenza della prima sezione (n. 27879/2014) la Corte di Cassazione è nuovamente intervenuta sul problema della interpretazione della norma, statuendo in particolare che l'esercizio del potere istruttorio ex officio di cui all'art. 507 cpp non può ritenersi consentito al fine di recuperare al fascicolo per il dibattimento un atto ontologicamente irripetibile del medesimo procedimento dichiarato inutilizzabile in virtù del suo omesso deposito ai sensi degli artt. 415 bis e 416 cpp.
Nel processo di merito, in apertura di giudizio avanti alla Corte d’Assise, la difesa aveva rilevato l'incompletezza della discovery operata in sede di atti prodromici all'esercizio dell'azione penale (art. 415 bis cpp, comma 2), avendo rinvenuto nel fascicolo del Pubblico Ministero la traccia documentale, rappresentata da annotazioni relative alle spese, di attività captative di conversazioni ulteriori e diverse rispetto a quelle oggetto di deposito. La questione era stata posta dalla difesa in termini di nullità dell'atto di esercizio dell'azione penale per violazione dei diritti difensivi, in punto di completezza della conoscenza riversata nel fascicolo, con estensione del vizio, in via derivata, al decreto di rinvio a giudizio.
Il Pubblico Ministero aveva a sua volta rappresentato che l'originario fascicolo di indagine aveva ad oggetto anche altri fatti delittuosi e rivendicato, ai sensi dell'art. 130 disp. att. cpp - la facoltà di operare, in sede di esercizio dell'azione penale per uno di tali fatti, una discovery parziale, intendendosi per tale la selezione di tutti gli atti relativi alla specifica vicenda tratteggiata nella imputazione, con mantenimento nel fascicolo separato esclusivamente degli atti relativi alle ulteriori vicende oggetto di indagine.
I Giudici della Corte di primo grado, nel valutare la questione posta, avevano impostato la soluzione in termini giuridici confermando l'esistenza del potere di "selezione" - nei termini riferiti dal P.M. - degli atti relativi alla vicenda oggetto del processo ed avevano ritenuto che tale condotta non poteva comportare alcuna invalidità dell'atto di esercizio dell'azione penale e del successivo decreto di rinvio a giudizio. Avevano altresì segnalato che la conseguenza giuridica effettiva della condotta di "selezione" degli atti, una volta esclusa l'incidenza di quelli non depositati sulla validità del processo in corso, era da rinvenirsi nella inutilizzabilità degli atti di indagine non oggetto di previo deposito ai sensi del predetto art. 415 bis cpp ( “... i diritti della difesa risultano tutelati dalla sanzione di inutilizzabilità degli atti non trasmessi …”).
Non prendendo visione di tali atti (asseritamente relativi alle "altre vicende" ancora oggetto di indagine), ne avevano dichiarato l'espressa inutilizzabilità ai fini del giudizio in corso, disponendo l'espunzione dal fascicolo processuale delle note spese relative alle attività captative non depositate.
Successivamente, nel corso del giudizio, la stessa Corte aveva poi disposto l'acquisizione del supporto relativo alle conversazioni telefoniche non depositate, quindi trascritte mediante incarico peritale specificamente conferito. I Giudici, nell'esporre le ragioni della utilizzabilità di tale acquisizione, i cui risultati erano anche stati espressamente valutati a carico dell’imputato in sede di decisione, avevano addotto che la trascrizione era acquisibile ed utilizzabile in virtù della rilevanza rispetto ai fatti oggetto del processo, unita alla esistenza del potere di completamento istruttorio conferito al giudice del dibattimento dall'art. 507 cpp.
Avevano affermato in particolare che la sanzione di inutilizzabilità relativa agli atti non depositati in sede di udienza preliminare non preclude l'esercizio di siffatto potere istruttorio ex officio, data l'ampiezza della sua configurazione e la finalità di accertamento della verità allo stesso sottesa (citando in proposito Cass. Sez. I, n. 5364/1997) ed aggiunto che l'intercettazione non risultava viziata “in sé” e pertanto era sempre passibile di acquisizione (ai sensi dell'art. 507), non trattandosi di prova vietata ai sensi dell'art. 271 cpp.
In tal modo, dopo avere espressamente dichiarato inutilizzabili le intercettazioni telefoniche non oggetto di previo deposito ai sensi dell'art. 415 bis cpp, non prendendone visione perché non depositate, tale statuizione era stata superata in sede di completamento istruttorio ex art. 507 cpp, rilevando che trattavasi di elemento di per sé legittimo, che era poi utilizzato nel quadro ricostruttivo, con rilievo non secondario ai fini della intervenuta decisione di condanna.
Nel giudizio di secondo grado, la Corte di Assise di Appello aveva attribuito a sua volta alla conversazione una "pregnante valenza dimostrativa" e respinto le argomentazioni difensive, ritenendo del tutto legittima l'originaria "selezione" degli atti compiuta dal P.M. ai sensi dell'art. 130 disp. att. cpp ed altrettanto legittimo il recupero, ai sensi dell'art. 507, della stessa conversazione originariamente non depositata.
I Giudici di appello avevano inoltre invocato l'applicabilità della previsione normativa dell'art. 270 cpp (intercettazione disposta in diverso procedimento) e la particolare ampiezza dei poteri riconosciuti dall'art. 507 al giudice del dibattimento, tale da comportare il superamento di eventuali preclusioni o decadenze poste a carico della parte (P.M.).
Da ciò derivava - secondo la Corte d'Assise d'Appello - l'assenza della lamentata contraddizione dei giudici di primo grado tra l'ordinanza dichiarativa della inutilizzabilità e quella acquisitiva della conversazione data la diversità dei momenti procedimentali e la particolare rilevanza a fini del decidere dell'elemento acquisito.
Secondo la Cassazione la decisione della Corte d’Assise d’Appello non fa corretta applicazione delle norme processuali e dei principi costituzionali incidenti sul tema.
I Giudici di legittimità premettono alcune rilevanti considerazioni di ordine generale sul rapporto esistente tra potere di "selezione" degli atti previsto in sede di esercizio dell'azione penale dall'art. 130 disp. att. cpp, diritto della difesa a conoscere prima dell'inizio del processo la "base cognitiva" del futuro giudizio (art. 415 bis cpp, comma 2, art. 416 cpp, comma 2 e art. 111 Cost., comma 2 nella parte in cui fa riferimento alla "condizione di parità" tra le parti) e poteri del giudice in punto di completamento istruttorio ex officio (previsti dall'art. 507 cpp).
Tali previsioni di legge, ordinaria e costituzionale, vanno interpretate in modo unitario e congiunto, non potendosi attribuire alla previsione eccezionale dell'art. 507 una efficacia sanante di condotte determinanti un vero e proprio vizio del procedimento probatorio.
La decisione impugnata (in linea con quella di primo grado) opera infatti una impropria scissione del procedimento probatorio dibattimentale in due fasi "non dialoganti" tra loro, finendo con ipotizzare l'esistenza di un "primo" procedimento introduttivo dei mezzi di prova ad opera delle parti - sottoposto a limiti e preclusioni - e di un "secondo" procedimento probatorio ex officio del tutto sganciato e svincolato dagli eventuali vizi afferenti il primo.
Va invece ribadito, proseguono i Giudici di legittimità, che anche nell'esercizio del potere istruttorio "residuale" il Giudice, pur potendo scendere sul terreno della elaborazione astratta di una ipotesi ricostruttiva (a completamento dei temi introdotti dalle parti), incontra anch'egli dei limiti che non sono esclusivamente correlati alla natura dell'elemento di prova da assumere (una prova vietata in quanto tale) ma che possono essere correlati anche alla non rimediabilità di un vizio determinatosi nella fase di iniziativa ad opera delle parti. Il procedimento probatorio resta unitario, pur se si caratterizza in forme diverse di impulso.
Così prosegue la Corte di Cassazione: <<Dunque non poteva ritenersi "acquisibile" ai sensi dell'art. 507 cpp la conversazione telefonica di cui si sta parlando, attesa la sua natura di elemento viziato non già sotto il profilo genetico (decreto autorizzatorio), ma sotto il profilo funzionale (omesso deposito, da ritenersi dovuto, in quanto atto del medesimo procedimento). E' significativo, sul punto, che il precedente citato dalla Corte di Assise d'Appello a sostegno della acquisizione (Sez. 1, n. 5364/1997) che questo Collegio non ignora, sia antecedente alla modifica costituzionale dell'art. 111 (adottata con L. Cost. n. 2 del 23.11.1999) e risulta ribadito, nelle successive decisioni, solo in un caso (tra le decisioni massimate, da Sez. 4, n. 27370/2005). Si tratta di interpretazione non condivisibile perché basata su valorizzazioni esclusivamente finalistiche del dato normativo (natura sostanziale dell'art. 507, norma diretta alla ricerca della verità) che, pur cogliendo un aspetto reale della intenzione del legislatore (in virtù della indisponibilità per le parti dell'oggetto del processo) non risultano, per il vero, idonee a superare - lo si ribadisce - un vizio dell'atto e non semplicemente una decadenza in cui sia incorsa la parte. Non è infatti comparabile, è bene chiarirlo, il tema qui trattato (recupero cognitivo dell'atto esistente ma non depositato) con l'ammissione di prove testimoniali da cui la parte sia decaduta (tema storicamente oggetto di ampie dispute dottrinali e giurisprudenziali sull'ampiezza applicativa dell'art. 507 su cui, di recente, Sez., Unite, n. 41281/2006) posto che nella seconda ipotesi non vi è dubbio che si tratta di una prova (la testimonianza) derivante da atti di indagine ritualmente depositati e portati a conoscenza dell'imputato. In tal caso il potere di "supplenza" ai sensi dell'art. 507 riguarda esclusivamente la possibilità di porre rimedio alla omessa indicazione in lista (dunque ad una decadenza) ma non vi è dubbio che lo stesso si pone come strumento di fattibilità del processo e si pone a "cavallo" tra un atto legittimo (in quanto depositato) e un successivo atto parimenti legittimo (l'assunzione della prova orale nel contraddicono) il che è cosa ben diversa dal pretendere il recupero di un atto di per sé viziato (perché non depositato) e non ripetibile in dibattimento (come è una intercettazione telefonica). Tali considerazioni possono così riassumersi: l'esercizio del potere istruttorio ex officio di cui all'art. 507 cpp non può ritenersi consentito al fine di recuperare al fascicolo per il dibattimento un atto ontologicamente irripetibile del medesimo procedimento dichiarato inutilizzabile in virtù del suo omesso deposito ai sensi degli artt. 415 bis e 416 cpp.>>